Ha riaperto la pesca al persico reale, comune in tutte le acque del piano ma non facile da individuare per la sua caratteristica lunaticità

Il barchino scivolava silenzioso sulle acque, condotto con antica sapienza dall’accorto pagaiare di Cesare. Non c’era affatto bisogno di sbracciarsi quando ci si poteva muovere altrettanto bene limitandosi a cavalcare con abilità la corrente. Ne risultava un incedere quasi silenzioso e per nulla intrusivo che si inseriva con naturalezza nel contesto di quello splendido tramonto sul fiume. Trattenendo il fiato per non rischiare di rompere quella magica atmosfera, osservavo con appassionata attenzione il variare del paesaggio al nostro percorso: gli alti pioppi dalla scura corteccia rugosa ogni tanto lasciavano intravedere gruppetti di teneri salici dove con lo sguardo ero riuscito a sorprendere una timida nitticora, il più schivo degli aironi e per questo di difficile osservazione. Impegnato in trastulli naturalistici non mi ero accorto della vicinanza del nostro obiettivo finché non ne avevo notato il profilo con la coda dell’occhio: una lunga sabbiaia che dopo aver sconfinato in una bassa correntina si approfondiva all’improvviso, creando un forte salto di profondità di un inconsueto blu cupo. La punta della barca ci si era infilata come una lama nel burro e io, badando a non provocare troppo rumore, mi ero affrettato ad approdare trascinandola in secca. Ora ci trovavamo in condizione favorevole a sondare l’intera posizione senza provocare eccessivo disturbo. Prima di agire avevamo comunque indugiato nello scrutare la muta superficie: chissà se quell’acqua limpida e allegra ci avrebbe dischiuso ancora una volta le porte dei suoi tesori nascosti… All’improvviso nella zona a basso livello appena a monte era comparsa una timida bollata, seguita dopo qualche tempo da una seconda, una terza finché un ampio tratto di fiume ne era apparso costellato con tanto di scie, chiari segni dell’inizio di una intensa attività di superficie: i pesci del fondale stavano abbandonando le acque profonde. Con calma ci eravamo preparati ad approfittare dell’opportunità che ci si offriva. La strategia prescelta poggiava sull’impiego di piccoli minnow affondanti dal nuoto poco vivace, pesanti a sufficienza per effettuare le lunghe proiezioni necessarie a compensare la nostra posizione di necessità arretrata per non arrecare disturbo e nel contempo discendere in lieve trattenuta la corrente così da dare l’impressione di una preda in forte difficoltà. In breve avevamo messo a frutto la cattura di alcuni cavedani di buona taglia, evidentemente stanchi della solita dieta a base di insettini, certo gustosi ma di poca sostanza. Pur contento dell’incontro con simili vivaci avversari, non avevo potuto impedire un sottile moto di delusione: erano altri gli obiettivi cui intendevo mirare. Così non avevo insistito oltre e mi ero diretto in ricognizione verso la lama d’acqua limitrofa al fondale.

Vai col rotante

La speranza era presto ritornata forte non appena avevo sorpreso quasi a contatto del bagnasciuga un primo branchetto di minuscola minutaglia. Accantonato per il momento il minnow, sulla punta della canna era tornato a svettare l’intramontabile rotante; scelto nella misura numero 2 in colorazione sgargiante avrebbe dovuto attirare su di sé l’aggressività dei predatori della zona, pur muovendosi in un’area piena di possibili target alternativi. Lo avevo proiettato al largo un poco a monte, mettendolo in rotazione immediata con un colpetto di polso, ne avevo poi assecondato lo sfarfallante affondamento tenendo la lenza in leggera tensione. Al termine dell’operazione l’esca era giunta a contatto del fondo circa alla mia altezza e a quel punto avevo iniziato uno strano recupero fatto di brevi trattenute e prolungati rilasci così da fargli compiere un ampio giro esplorativo lungo il crinale del salto di profondità. L’azione era riuscita in maniera soddisfacente ma non aveva sortito alcun esito. Non restava allora che provare subito un approccio diretto e veloce in acqua bassa. Il rotante ora, non appena lambito l’alveo sabbioso, aveva preso a tornarsene allegro verso riva compiendo frequenti scatti quasi in tono di sfida e proprio mentre stava percorrendo l’ultima spanna di recupero utile, come dal nulla si era materializzata in superficie una cresta con tanto di persico sottostante che si era spinto fin sul bordo dell’acqua per ghermire all’ultimo secondo quello strano esserino in fuga. Ne era seguito un breve, intensissimo combattimento con tanto di sguazzi e spruzzi concluso con la resa del percide che si era ritrovato ancora vibrante disteso sulla riva. Mi ero fermato un poco ad ammirarlo nella sua selvaggia bellezza, con la dorsale spiegata e le pinne di uno spiccato colore a metà fra il rosso e l’arancione: certo si trattava di un pesce dalle carni squisite che non avrebbe sfigurato sulla tavola ma era anche un avversario stupendo, aggressivo e temerario come forse nessun altro e perciò meritava la libertà. Ci aveva messo solo un attimo per tornare a rifugiarsi nell’oscura profondità da cui era venuto. Capito il trucco, avevo proseguito replicando lo stesso richiamo e conseguendo qualche altra cattura fino a quando ero giunto in un punto dove il corso allargandosi placava la sua forza, indugiando in una vasta piana tranquilla costellata di banchi di erbe in grado di creare uno strano paesaggio sommerso. Le mutate condizioni imponevano un cambio di artificiale e pur restando all’interno della categoria dei rotanti, ero passato a utilizzarne un altro di analoghe dimensioni ma con la paletta inserita sull’asse tramite cavalierino. La diversa tipologia sviluppava una maggior resistenza al recupero che avrebbe favorito l’andamento rallentato meglio adatto alla nuova situazione. In pratica si trattava, pescando a vista, di far superare all’esca la sommità della vegetazione per poi farla ricadere in maniera controllata negli spazi liberi fino a farla anche strusciare sul limo così da sollevare piccole e interessanti nuvole di fango. Ogni tanto una conduzione maldestra si complicava con l’aggancio di qualche detrito che annullava l’efficacia dell’azione ma talora era proprio un pesce zebrato che, sbucato dall’intrico, si lanciava all’attacco ghermendo senza incertezze l’intruso.

Samba al tramonto

Nel frattempo, in vista della forzata pausa notturna, l’attività ittica si andava intensificando, arricchendosi a tratti di qualche cacciata a galla con tanto di classica “fontana” di minutaglia in fuga impazzita. Ora il fiume tornava a chiudersi e la corrente a battere contro la sponda che perciò risultava protetta da una lunga massicciata in blocchi di cemento. Anche qui i reali non dovevano mancare ma per contrastare la rinnovata forza dell’acqua e sondare le profondità in breve spazio occorreva un nuovo cambio, specie nel peso e nella compattezza dell’artificiale. Era dunque il momento di passare a un rotante del n 3 o anche del n 4 a paletta direttamente inserita sull’asse senza farsi condizionare dall’apparente sproporzione con la taglia delle prede. Erano così giunte a riva le ultime due catture -guarda caso le più belle dell’uscita- scovate andando a scandagliare gli oscuri recessi alla base della prismata. Le ombre della sera imminente si andavano allungando in maniera precipitosa, tanto da farmi realizzare di colpo quanto poco tempo restasse per tornare al punto di partenza. Me l’ero presa lo stesso con calma: anche se il buio calava intorno ostacolando il rientro, l’animo era ormai rinfrancato e illuminato da una serena e soddisfatta luce interiore.
Dei molti incontri che la tarda primavera può riservare al lanciatore quello col pesce persico potrebbe apparire uno dei più modesti e casuali. Di norma infatti sono altri blasonati avversari come luccio, bass e salmonidi vari a calamitare le nostre attenzioni al punto che a volte nemmeno ci si rende conto di perdere una delle migliori occasioni per trovare gli amici zebrati bendisposti nei confronti dell’artificiale come di rado accade. Il periodo successivo alla riproduzione costringe infatti la specie a un incremento di attività che risulta alquanto favorevole, mettendoci nella condizione di poter praticare uno spinning mirato con buone speranze di successo. Non dobbiamo peraltro ritenere che la taglia delle eventuali catture sia per forza di cose ridotta: spesso – specie sul fiume – accade di incontrare esemplari al di sopra dei 4-5 etti la cui coriacea difesa, certo contrastata con le adeguate attrezzature, Non lasciamoci quindi sfuggire la possibilità di qualche rilassante uscita specifica. Prismate di vario genere, sabbiaie anche a basso livello purché in prossimità di salti di profondità lambiti da correnti, lente piane arricchite da tappeti di alghe fluttuanti e piedi di terra ai margini dei fondali rappresentano le migliori posizioni per sorprendere i tigrotti in caccia.
In bocca al persico…

Di Mario Narducci
Foto di C. Lorandi e G. Giudice