Ancora una volta il miracolo si ripete: tornano le cheppie e la samba ricomincia. Trovare i primi branchi è fondamentale se vogliamo divertirci. Ma la cheppia è anche il nostro salmone nazionale e come tale va tutelato perché rischia l’estinzione
Quella sera il telefono stava squillando con un trillo insolitamente gioioso. Avevo indugiato a bella posta in modo da farlo suonare a lungo e tenere sulla corda chi immaginavo stesse chiamando e che poco prima si era lasciato prendere dall’insano dubbio di non aderire a una proposta irrifiutabile. Una volta alzata la cornetta, all’altro capo la pacata voce di Fabrizio non era riuscita a nascondere un’inflessione di entusiasmo mentre scandiva la sintetica frase di rito: «Ci sono anch’io!». Era tutto quello che mi bastava sapere: nulla ormai avrebbe potuto impedire la formazione per il pomeriggio successivo di un trio decisissimo a non perdere un certo felice appuntamento. No, non equivocate, non si prospettava alcun incontro galante eppure si trattava comunque di qualcosa di appassionante e straordinario. Un avvenimento speciale perché si poteva rinnovare solo in un ben preciso periodo, portando una ventata di fresca semplicità genuina nel mondo sempre più sofisticato e complesso dello spinning moderno: le cheppie avevano da poco iniziato la loro risalita e io avevo avuto la ventura di localizzarne un primissimo branco ormai giunto nell’area di frega prescelta. Il sole aveva iniziato da un pezzo la sua parabola discendente e già stava accendendo l’orizzonte di strani riflessi rossastri, sorprendendoci mentre prendevamo posizione lungo una certa prismata lambita da una turbolenta corrente. Poco oltre si era formato un lungo rigiro a basso livello dove l’acqua indugiava sopra un lindo ghiaieto che alle alose doveva essere apparso il migliore della zona, tanto da colonizzarlo senza incertezze. L’avevo scoperto per caso qualche giorno prima: bighellonando lungo il fiume armato come al solito di canna e artificiali, ero capitato da quelle parti e non avevo resistito dal compiere un blando tentativo per convincere un eventuale aspio vagabondo all’attacco. L’ondulante però si era trovato all’improvviso al cospetto di un avversario inatteso e piuttosto coriaceo, un pesce che non ne voleva sapere in alcun modo di raggiungere la riva e che mi aveva parecchio sorpreso. L’arcano era stato presto svelato quando il “furbone” era esploso in una elegante piroetta aerea a centro fiume, molto bella a vedersi al punto che anch’io ero rimasto a bocca aperta… anche perché in quel modo lui era riuscito a sganciarsi.
Gradito ritorno
Capita l’antifona, i lanci successivi si erano fatti studiati e convinti e nel giro di poco una bella serie di cheppie era venuta ad allietare quella solitaria uscita esplorativa. Eppure qualcosa mancava per completare la soddisfazione del gradito evento: lo spinning stagionale all’alosa con le sue numerose catture in serie rappresenta una vera festa che non si può non condividere con gli amici ed ecco spiegato il motivo di quella particolare riunione fluviale. Raimondo e Fabrizio, compagni d’arme per l’occasione, se ne stavano immobili con l’artificiale già montato fissandomi con un muto sguardo interlocutorio. Compresa la loro implicita domanda non mi ero lasciato pregare oltre sbottando: «Dovrebbero essere nel rigiro di corrente, specie nel punto in cui quell’increspatura denuncia la presenza di un grosso masso sommerso!». Fabrizio non aspettava altro e quasi prima che finissi di parlare aveva fatto scoccare il primo fatidico lancio. L’avevo seguito con lo sguardo nel suo armeggiare: tre, due, uno…ecco l’abboccata rabbiosa, cui però aveva risposto in leggero ritardo mancando l’aggancio. Nulla di male, era probabile che le cheppie avrebbero ben presto concesso la replica. Del resto è sempre così ogni anno, abituati ad avere a che fare con pesci molto meno reattivi e fulminei occorre pagare lo scotto di qualche errore prima di riprendere la mano, in compenso una volta riusciti il divertimento è assicurato. Così era stato anche per l’amico, la cui espressione contrariata per l’opportunità persa si era presto trasformata in quella felice per la prima cheppia della stagione giuntagli tra le mani, guarda caso, al secondo lancio. A quel punto io e Raimondo ci eravamo scambiati un ulteriore sguardo d’intesa, ormai toccava a noi darci da fare per entrare – come si dice – “in pesca”. Raimondo si era occupato di sondare l’altro lato dell’ostacolo sommerso mentre io per non intralciare la loro azione mi ero preso la briga di provare nella zona libera a monte. Potevo sentire le espressioni di esultanza degli amici impegnati in una entusiasmante serie di agganci, talora giunti a buon fine, talaltra conclusi in maniera prematura con la fuga del pinnuto di turno, mentre io, nonostante i ripetuti tentativi, restavo deluso a bocca asciutta. I passaggi rapidissimi a galla a sondare l’intera zona a mia disposizione, avevano lasciato il posto a recuperi più lenti e lavorati a mezz’acqua e poi anche verso il fondo ma le manovre persistevano a non essere coronate da successo. Allora pian piano, quasi impercettibilmente, avevo deviato le traiettorie dei lanci fino a invadere il terreno dei compagni, “scroccando” così qualche cattura consolatoria. Ormai però la giornata volgeva al termine, tanto che riprovando nel tratto libero l’avevo conclusa incamerando un paio di piccoli perca, usciti allo scoperto in lieve anticipo.
Salmoni di casa nostra
Per fortuna ancora oggi lo spinning alla cheppia può essere vissuto come un semplice antico confronto con un avversario schietto e poco malizioso. Intendiamoci, purtroppo non sempre e non dappertutto le cose stanno così, tuttavia risulta già di consolazione godere dell’intima certezza che l’evenienza possa talora verificarsi. Anzi, con un poco di buona volontà e applicazione potremo andare alla ricerca di simili situazioni favorevoli che sono più frequenti all’inizio della risalita stagionale, allorquando i pesci appaiono ancora pieni di energia e non sono ancora stati fatti oggetto di innumerevoli tentativi di cattura con le relative pungenti esperienze negative. Non è infrequente infatti in tale periodo trovare lungo l’acqua qualche lanciatore che dopo aver operato per qualche tempo nella maniera consueta, procedendo a normalissimi lanci e richiami studiati al millimetro, colto in apparenza da improvvisa vena di follia, interrompe l’azione per eseguire una serie di recuperi impazziti a velocità supersonica, talora addirittura immergendo la canna quasi per l’intera lunghezza, in un inedito spinning subacqueo. In realtà non si tratta di nient’altro che dei primi incerti tentativi per accertarsi dell’eventuale arrivo delle avanguardie delle nostre amiche marine e certo la prova vale sempre la pena perché le prime a giungere spesso sono grosse femmine dalla difesa indomita, capaci di farci sognare di aver attaccato all’altro capo della lenza un piccolo autotreno! Insomma, trovare il coraggio di azzardare fra i primi l’insidia stagionale della cheppia se da un lato ci può esporre a cocenti delusioni dall’altro ci può concedere soddisfazioni uniche, la cui memoria si andrà a stampare in maniera indelebile in quella piccola o grande parte del nostro cuore dove la pesca va accumulando i propri intimi tesori. Stabilito dunque di essere disposti a rischiare qualcosa pur di intercettare i branchi in risalita, dovremo dapprima cercare di selezionare i punti migliori dove concentrare i tentativi. Essi di norma coincidono con gli storici luoghi di riproduzione della specie e cioè i primi ghiaieti dal fondo duro e pulito incontrati dai pesci nella loro risalita dal mare, specie lungo gli affluenti del Grande Fiume. Spesso però oggigiorno il raggiungimento degli antichi letti di frega viene impedito da imponenti sbarramenti fluviali che costringono le cheppie ad assembrarsi in maniera innaturale nel tratto a valle degli stessi. Anche queste zone andranno perciò ad aggiungersi a quelle propizie per tentare la sorte, magari mascherando le nostre reali intenzioni col fittizio interesse per altri pinnuti, tanto per non essere giudicati pazzi o esaltati dagli eventuali colleghi presenti. Fondamentale poi la scelta del momento in cui presentarsi all’appuntamento.
Tecnica in pillole
Trattandosi di un pesce migratore, la comparsa delle cheppie avverrà di preferenza al termine di una piena primaverile in grado di facilitare lo spostamento e la percezione del laterale “giusto”. Le acque ancora velate semplificheranno di molto la scelta degli artificiali adatti che andranno selezionati fra gli ondulanti piccoli e compatti da 5 a 12 grammi. Un piccolo trucco, utile in caso di pesci apatici per linfe ancora piuttosto freddine, può consistere nell’introdurre un piccolo grub bianco in coda all’esca – meglio se dotata di monoamo con ardiglione schiacciato – procedendo poi a richiami rallentati nei pressi del fondale. L’aggiunta di ulteriori vibrazioni può talora rivelarsi l’elemento determinante per sbloccare una situazione di stallo. L’attrezzatura adatta a sostenere la nostra ricerca dovrà collocarsi nell’ambito di uno spinning medio-pesante, come dire la migliore scelta di compromesso per affrontare l’impresa, consentendoci una pesca mista, indirizzata nel caso anche ad altri avversari qualora le alose latitassero. Faranno dunque al caso una canna ad azione parabolico-scalare intorno ai 240 centimetri di potenza fino a 20 grammi, abbinata a un mulinello di taglia 4000 ben carico di un monofilo dello 0,28 – 0,30 millimetri o trecciato di analoga potenza. È tutto quello che basta per tornare ad assaporare il fascino di una tecnica bella, varia e libera come lo spinning sa essere. In bocca alla cheppia…
Di Mario Narducci Foto di Cesare Lorandi
Catch and release: ora si deve
Sulla filosofia no kill, o catch & release, o prendi e rilascia per dirla nel nostro caro e vecchio italiano, si sono scritti fiumi di parole, puntando il dito sulla necessità di salvaguardare il più possibile le specie autoctone laddove leggi e regolamenti obsoleti non arrivano. Sulla cheppia l’argomento è quanto mai di rigore, Il nostro “salmone” nostrano compie centinaia di chilometri per risalire il Po alla ricerca dei letti di frega e durante il percorso deve affrontare mille pericoli. Anzi, i rischi di finire male cominciano già in mare, presso il delta del Grande Fiume, dove ad aspettare i branchi delle cheppie ci sono le reti dei professionisti pronte a trasformarle in farina. Quindi per un pesce a serio rischio di estinzione come la cheppia non si può fare altro che invitare tutti a rilasciare le catture con la miglior cura possibile. Teniamo presente che nella difesa la cheppia da buon pesce marino profonde tutte le sue energie e quando giunge a riva è molto spesso stremata. Una buona riossigenazione “stile salmone” è la prima manovra da farsi ma, ancora prima, sarà nostra cura abbreviare la lotta col pesce per evitare che esso produca troppo acido lattico che gli farebbe subire poi un forte stress fisiologico all’atto del rilascio. Per ovviare, in parte (sappiamo che la cheppia allamata è pura dinamite e controllarne la difesa è quasi impossibile), a questo inconveniente conviene usare attrezzature toste e fili robusti per forzarne la lotta. Anche l’utilizzo di armature monoamo con ardiglione schiacciato può essere una buona scelta: riduce i rischi di emorragie ed accelerano le operazioni di slamatura.
Di Renzo Della Valle