di Enzo Venturini

 

È un sabato mattina, come tanti, anzi no, è la vigilia di un giorno speciale.
Arrivo al supermercato del paese, parcheggio l’auto nel solito posto, perché è libero ed è vero, sono un pochino abitudinario.
Attendo che la mia ragazza scenda dalla macchina e andiamo a prendere il carrello della spesa.
È in quell’istante che noto sull’asfalto del parcheggio, proprio di fronte al muso della mia auto, una perlina semitrasparente metà bianca metà azzurra, con un foro passante al centro.
Mi blocco impietrito ad osservarla, è bella e anche se forse ancora non ne sono cosciente, c’è una parte di me che sta già pensando a come utilizzarla.
In quel momento mi accorgo che la mia ragazza mi sta guardando: “non starai mica pensando di raccoglierla vero?”.
“Beh, potrebbe…”, rispondo un po’ incerto.
“Fai come i bambini che prendono le cose in terra? Sarà sporca e poi c’è il Covid!”, aggiunge.
Ricordandomi di aver usato qualche giorno prima le stesse motivazioni per impedire ai suoi nipotini di raccogliere qualche schifezza trovata per strada.
Desisto.
Ma durante tutto il tempo della spesa, una parte del mio inconscio lavora ed escogita come utilizzare quella perlina. Pare proprio adatta a far parte di un improbabile montatura per attrarre i black bass più apatici ed io sono sempre stato attratto dalla creazione di esche o “attacchi” bizzarri e spesso inefficaci.
All’uscita del supermercato, una volta scaricata la spesa nel baule, riporto il carrello al suo posto e tornato alla macchina, la perlina è ancora lì che mi guarda.
Abbandono ogni reticenza; se fosse stata sporca l’averi lavata, se fosse stata infetta l’avrei disinfettata; ma non l’avrei abbandonata a sé stessa.
So già che non lo ammettereste mai, lo so, ma avreste fatto la stessa cosa…perché in fondo siamo pescatori, ed è proprio questa passione che ci fa tornare bambini, anche, come nel mio caso, a quarant’anni suonati.
“Non l’avrai mica presa su quella pallina?”, incalza lei un po’ schifata.
“Già…so già come utilizzarla”, rispondo con un sorriso divertito.

Passo la serata a preparare le montature sulle mie canne da pesca per il giorno seguente.
Eh… il giorno dopo sarebbe stato un giorno speciale.
Una canna preparata con una montatura a drop leggero, su cui avrei puntato tutte le mie speranze di cattura.
Una canna da casting con un vistoso gambero blu montato su un jig pesante, per riuscire almeno a lanciarlo.
L’avrei utilizzata appena, visto che a casting, posso dirlo con un po’ di vergogna, sono una frana.
Ma non volendo essere da meno dei miei compagni di pesca più esperti, una canna da casting tra le tante, se non altro, fa “glamour”.
Una immancabile canna montata a texas piombato, ma che all’occorrenza potevo sgravare, alleggerire e persino usarla a wacky o a spinnerbait. All’occorrenza… sì, ma ero già certo di non azzardare tanto, visto che a “spinner” avrò preso un pesce, una volta sola e magari per pura fortuna.
Infine, decido dopo tante elucubrazioni e ricerche on line, come utilizzare la perlina.
Pare esserci un attacco un po’ atipico che sfrutta proprio l’inserimento di una perlina lungo la linea, il “carolina rig”; che fino ad oggi avevo soltanto sentito nominare.
Eppure, il suono della mia perlina bianco, azzurra che sbatacchia sul piombo a proiettile è decisamente attraente; almeno per me che sono fuori dall’acqua.
Passo il resto della giornata, fino a quasi mezza notte, a preparare il belly boat, le pinne, la nassa, il guadino, la pompa…E dire che mi avevano detto che lo spinning era “libertà”, perché bastava una canna e due esche.
Sé, sé…
Ma non potevo dimenticare nulla, perché il giorno dopo, sarebbe stato un giorno speciale!

E il giorno arriva.
Il ritrovo è fissato alle ore 7 presso il Lago del Gatto vicino a Savio.
Là, dopo tanti mesi di lock down e distanziamento sociale, ritrovo molti compagni di club e di pesca.
Siamo in tanti eppure il Covid ci ha messo ancora lo zampino e ha costretto alcuni di noi tra le mura di casa.
Ma ci saranno altre occasioni per rifarsi.
Per i presenti, invece, è il giorno dell’ormai consueto appuntamento annuale con il “Memorial Strocchi”: una piccola sfida di pesca o raduno per ricordare il caro Franco Strocchi, amico e compagno di pesca che ci ha lasciato cinque anni fa.
Dopo una preparazione che sembra infinita entriamo finalmente in acqua!
C’è Max, fresco di un ottimo risultato in una gara nazionale, c’è Poggio che con il suo pontoon domina alto sull’acqua, Cristian con un belly boat che pare un caterpillar, ma anche Tazzo che è la prima volta che si dimestica nella pesca dal belly e come capita a tutti quelli alle prime armi vaga sull’acqua senza controllo.
C’è anche qualche nuovo membro del gruppo, come Simone.
Mi fa strano ritornare ad avere i piedi in acqua dopo tanti mesi e riassaporare l’instabile sensazione di essere seduti su un fluido.
Ma non c’è tempo per pensare troppo, lo sfidino è iniziato e appena pochi istanti dal via, Poggio ha già in mano un bel bass catturato a crank. Esca che ovviamente avevo bellamente ignorato e lasciato in qualche scatola della mia buia e polverosa soffitta.
Vorrei attuare la mia strategia di gara, puntando su una piccola isola posta al centro del lago, ma vedo presto con rammarico che la maggior parte dei contendenti devono avere avuto la stessa idea.
Piro è già lì da qualche minuto che marca la zona e poco dopo avrebbe estratto dall’acqua la sua prima cattura.
Decido di circumnavigare il lago in senso orario, l’esatto opposto di quello che avevo fatto nelle precedenti rarissime occasioni in cui avevo pescato in quel luogo.
Tutto tace, nemmeno una piccola tocca, una beccatina appena accennata di un bassettino inesperto e imberbe, nulla.
Nulla, finché non arrivo sul ciglio di un roveto che si prolunga creando una “mangrovia” intricata sopra e sotto il pelo dell’acqua.
Lancio il mio “drop”, sì molto leggero, ma su cui ho montato un vermone lungo, memore delle passate e rare esperienze di cattura in questa cava; proprio a filo delle ultime lingue spinose del roveto, là dove cede il passo all’acqua del lago.
Poi, con un movimento lento e cadenzato temporalmente, faccio compiere dei piccoli balzelli all’esca, richiamandola verso di me.
Un colpo sordo e secco alla cima della canna mi sorprende e mi accorgo che il trecciato prende vita, fuggendo verso la spinosa riva.
Ferro e comprendo subito di avere a che fare con un big bass scatenato. La frizione del mulinello canta mentre il bestione punta più volte il fondo e persino si infila sotto le pinne cercando di portarsi nella direzione opposta alla mia precaria e gommosa poltrona galleggiante.
Tengo duro, anche il filo resiste e riesco a portare il pesce verso la superfice, senza ancora vederlo chiaramente.
È allora che decido di portare il guadino, riposto nella parte posteriore del belly, a portata di mano.
Ma con mia somma incredulità, mi accorgo che il guadino è ancora chiuso e l’asta dello stesso è posizionata al centro della nassa, impedendone l’utilizzo.
Impreco per la mia ingenuità e inesperienza, mentre goffamente con una mano cerco di fare scorrere il manico e posizionarlo nella sua sede ottimale e con l’altra di domare le continue sfuriate del pesce.
È in quell’istante che la punta della canna si rizza di colpo e il terminale di fluorcarbon si catapulta fuori dall’acqua, portando con sé l’amo, il piombo e un’assenza dolorosa, quella del pesce.
Mentre realizzo quanto appena accaduto, sento la delusione salire in ogni neurone e la frustrazione per aver gestito la situazione in modo maldestro e stupido.
Avrei dovuto preparare in anticipo il guadino prima di scendere in acqua o addirittura, avrei potuto fare a meno dello stesso, ghermendo il pesce dalla ruvida bocca.
Spettatore, un po’ incredulo, un po’ divertito, è Cristian, che a pochi metri da me vede la scena e mi canzona un pochino per la mia disavventura.
Sbollita la rabbia, ripercorro mentalmente l’accaduto e decido di non farne un dramma: ho imparato una lezione, il guadino va sempre preparato a dovere.
Mi dico che comunque ho vissuto l’emozione di avere combattuto con un grosso bass e mi convinco di averlo ingannato proprio come mi ero immaginato, con il mio attacco a drop.
Non dovevo essere troppo abbattuto, in fondo è un giorno speciale!
Poco dopo fioccano le catture.
Arriva infatti la voce che Tazzo, è riuscito a prendere il suo primo bass dal belly boat; poco dopo l’urlo di Michele preannuncia un’altra grossa cattura.
Ed è proprio così, un bass che sfiora i due kilogrammi entra nel suo guadino.
Anche Alex entra in classifica con un bass di tutto rispetto; mentre Poggio e Piro continuano a catturare senza sosta.
Dopo aver ripercorso a ritroso il roveto semisommerso che mi aveva regalato quell’emozione insperata, e trascorsa quasi un’altra ora e mezza di gara, decido che devo cambiare zona e strategia.
Visto che le catture a ripetizione di Michele si sono verificate quasi tutte a ridosso di una secca che congiunge la riva opposta del lago all’isola al centro dello stesso; decido di avvicinarmi a lui e provare ad emularlo.
Conscio del fatto che avrei cercato “caramelle” in un barattolo già ampiamente saccheggiato.
Eh già…arrivavo decisamente in ritardo sullo spot più promettente.
Per di più, mentre effettuo questo spostamento, giunge la notizia che un altro bass che sfiora i due kilogrammi è stato catturato da Cristian, sulla sponda del lago che avevo appena battuto e abbandonato.
Il ché inizia a farmi sospettare di aver fatto la scelta sbagliata, ancor prima di tentare di sondare la fruttuosa secca.
Faccio qualche lancio svogliato, riproponendo il mio “drop leggero” prima e l’innesco a texas piombato poi.
Tutto quello che raccolgo è un’accozzaglia di alghe filamentose, fango e legnetti.
Scambio qualche battuta goliardica con i miei compagni di pesca e mi rincuoro nello scoprire che non sono l’unico che non è riuscito a portare in pesa almeno un pesce.
Ma non sono né abbattuto, né frustrato; anzi, l’evento sta riuscendo bene e questo è quello che conta di più; in fondo è un giorno speciale, no?

Dopo aver dato un senso all’aver portato la canna da casting, compiendo qualche timido lancio del mio pesante gamberone sotto il grosso corpo di un tronco semisommerso e aver comprovato la mia difficoltà nel maneggiare quel mulinello così complesso; la ripongo nuovamente nel portacanne; dove torna, se non altro, a fare “glamour”.
È in quell’istante, che mi accorgo che ho ancora una freccia al mio arco.
C’è una perlina bianco azzurra semitrasparente che penzola da uno dei trecciati che filano lungo le canne disposte al mio fianco.
Ah..”tentar non nuoce”, mi dico…”perso per perso…proviamo anche questa”.
Ritorno sulla secca che è stata tanto generosa con i miei compagni di pesca e compio il mio primo lancio.
Ne scaturisce una gettata rozza, impacciata e cortissima.
La diversa disposizione dei pesi sulla linea, infatti, richiedevano un approccio al lancio differente, cosa che io avevo del tutto ignorato.
Ci riprovo e questa volta l’esca fila via sufficientemente lontano, penetrando l’acqua proprio là, dove il suo colore si tinge di note più ambrate e torbide per via della minore profondità.
Decido di far scendere il piombo e l’esca sul fondo, contare fino a cinque, recuperare lentamente per tre secondi, dare un leggero strattoncino alla lenza per far sbatacchiare il piombo sulla perlina e far sprofondare nuovamente il piombo sul fondo del lago.
Non appena mi accingo a compiere nuovamente la routine che mi ero imposto, l’esca si blocca bruscamente, come fosse venuta a contatto con un ramo di un albero sommerso.
Ma nulla di tutto ciò, dall’altra parte non c’è un essere inanimato, ma una furia scatenata che punta verso la superfice e si palesa in tutta la sua maestà in un salto fuori dall’acqua, oserei dire “in candela”.
Cerco di tenere la punta della canna più bassa che posso, per impedire al pesce di ripetere la “pericolosa” ascesa ed evitare così che riesca a slamarsi e darmi la seconda delusione di giornata.
Il pesce mi passa davanti alle pinne e visto così sembra davvero mostruoso!
Cerco di fargli compiere dei percorsi semicircolari a qualche metro dal mio belly, sperando di ridurne la sua foga; ma non è cosa semplice.
Il pesce si difende con un’energia molto simile a quella percepita nella prima mancata cattura e sinceramente, la paura di rivivere la stessa delusione è forte.
Fortunatamente questa volta viene in mio soccorso Piro che a pochi metri da me, decide di darmi una mano nel guadinare il pesce.
Conscio di avere questo aiuto in più, forzo un po’ il recupero e provo a fiaccare così la resistenza del pesce.
Quando sento che la sua resa si avvicina, porto il pesce verso il belly di Piro, che è già pronto per ghermirlo con la sua rete gommata e così succede.
Finalmente la tanto insperata cattura è avvenuta!
Posso dare sfogo alla mia gioia nell’aver catturato un grosso bass e per di più grazie alla mia preziosa perlina trovata per caso.
Poco dopo scopro che il pesce, così mostruoso in acqua, in realtà pesa circa di un kilo e seicento grammi; meno di quanto avessi immaginato, ma abbastanza per essere il terzo pesce di giornata in ordine di peso.
Torno ad ammirare la mia perlina semitrasparente, brilla nel sole col suo fascino mistico e ora è ammantata anche dal sospetto di un potere provvidenziale.
Eh già, è un giorno speciale.

Poco dopo lo sfidino ha termine.
I belly tornano verso riva in processione come stanche pecore alla stalla dopo una giornata al pascolo.
La rapida premiazione, incorona Michele Cannizzo re di giornata con un bass di 1.950 grammi.
Al secondo posto Cristiano Samoré con un pesce dal peso inferiore di soli dieci grammi.
Poi viene il mio con i suoi 1.550 grammi.
Seguono via via gli altri con catture tutte ampiamente sopra il kilogrammo di peso e, comunque, tutti premiati.
Non resta che ristorarsi dalle fatiche con piadina ed affettati vari condita con vino e grasse risate.
D’altronde è una giornata speciale, mi ripeto.
Lo è davvero.
Lo è per aver riunito tanti compagni di pesca dopo un anno e mezzo di distanziamento sociale forzato.
Lo è per il sole e il tempo splendido che ha retto nonostante le previsioni meteo avverse.
Lo è per le numerose e soprattutto grosse catture che il lago ci ha regalato.
Lo è per le delusioni, gli insegnamenti, le gioie inaspettate e le risate.
Lo è per una storia di una perlina smarrita che ha trovato un nuovo destino.

Ma soprattutto lo è, perché è stata una giornata nel ricordo di un amico che non c’è più.
Una persona che ha trasmesso a molti di noi la sua passione per la pesca, il suo sapere e i suoi segreti.
Un amico, la cui assenza è un vuoto che, ancora oggi, si fa sentire.
Siamo sicuri che oggi il black bass più grosso l’ha preso lui, Franco, lassù in uno dei tanti laghi che popolano il cielo.
Per questo, e anche se fosse solo per questo, è un giorno speciale.