Dal Deflusso Minimo Vitale al Deflusso Minimo Ecologico rischiamo una truffa? Per chiarire le problematiche connesse a tale introduzione pubblichiamo l’intervento del WWF presentato alla Commissione Agricoltura del Senato.

AUDIZIONE IN VIDEOCONFERENZA SULL’AFFARE ASSEGNATO N. 886 (PROBLEMATICHE RELATIVE AL DEFLUSSO MINIMO VITALE DEI FIUMI E DEI TORRENTI)

Commissione Agricoltura del Senato

Martedì 14 dicembre 2021, ore 15.30

Nota WWF Italia

Il Piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee (Water Blueprint Strategy), elaborato dalla Commissione Europea nel 2012, aveva fatto emergere l’importanza che la gestione quantitativa della risorsa idrica riveste nel raggiungimento degli obiettivi della Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE.

E’quindi emersa la necessità di adottare misure più adeguate per la gestione dei deflussi idrici superando e/o integrando il concetto di Deflusso Minimo Vitale (DMV) con l’introduzione del concetto di “Deflusso Ecologico” (DE).

Il deflusso ecologico, infatti, può essere considerato un’evoluzione concettuale del deflusso minimo vitale (DMV) che, seppur adottato allo scopo di salvaguardare l’ecosistema fluviale, rimane un valore di portata calcolato su base esclusivamente idrologica, spesso e volentieri troppo basso per rispondere alle esigenze per cui è stato concepito.

Nel 2017 il Ministero dell’Ambiente ha approvato le Linee Guida per l’aggiornamento dei metodi di determinazione del DMV al fine di garantire il mantenimento nei corsi d’acqua del deflusso ecologico, riconoscendo una certa disomogeneità nel calcolo e nell’applicazione del deflusso nel contesto nazionale. Si passa da un concetto di mera “soglia” a quello di “regime” che tiene conto o dovrebbe tenere conto della dinamica fluviale, degli andamenti stagionali delle portate, fondamentali per garantire il mantenimento degli ecosistemi fluviali.

Il Deflusso ecologico è, quindi, estremamente importante per garantire il raggiungimento degli obiettivi della Direttiva Quadro Acque (2000/60/CE) e della Strategia Europea per la biodiversità per il 2030; è anche necessario sottolineare che il DE contribuisce al raggiungimento del “buono stato ecologico” dei corpi idrici che è la condizione per garantire l’uso plurimo delle acque; derogare o vanificare l’efficacia del DE, come alcune Regioni stanno facendo sulla spinta soprattutto del mondo agricolo, vuol dire non voler garantire un corretto e sostenibile uso delle acqua.

IL DEFLUSSO MINIMO VITALE(DMV) E IL DEFLUSSO ECOLOGICO (DE)

Il “Deflusso Minimo Vitale” è la portata istantanea da determinare in ogni tratto omogeneo del corso d’acqua, che deve garantire la salvaguardia delle caratteristiche fisiche del corso d’acqua, chimico-fisiche delle acque nonché il mantenimento delle biocenosi tipiche delle condizioni naturali locali. Per “salvaguardia delle caratteristiche fisiche del corso d’acqua” deve intendersi il mantenimento delle sue tendenze evolutive naturali (morfologiche ed idrologiche), anche in presenza delle variazioni artificialmente indotte nel tirante idrico, nella portata e nel trasporto solido; per “salvaguardia delle caratteristiche chimico-fisiche e delle biocenosi tipiche delle condizioni naturali delle acque”, deve intendersi invece il mantenimento, nel tempo, dello stato di qualità chimica e ecologica delle acque, tale da consentire il perseguimento degli obiettivi di qualità individuati ai sensi degli artt. 76, 77, 78 e 79 del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, di recepimento dell’art. 4 della Direttiva Quadro Acque (DQA – Dir. 2000/60/CE).

Per Deflusso Ecologico (DE), si intende il regime idrologico che, in un tratto idraulicamente omogeneo di un corso d’acqua, appartenente ad un corpo idrico così come definito nei Piani di Gestione dei distretti idrografici, è conforme col raggiungimento degli obiettivi ambientali definiti ai sensi dell’art. 4 della DQA. Per la salvaguardia delle risorse idriche europee il di deflusso ecologico (ecological flow o e-flow) è il “volume di acqua necessario affinché l’ecosistema acquatico continui a prosperare e a fornire i servizi necessari.”

DIRETTIVA QUADRO ACQUE 2000/60/CE E MINACCE

A distanza di vent’anni dall’entrata in vigore della Direttiva Quadro sulle Acque sappiamo che solo il 40% dei corpi idrici superficiali europei (lo stesso per l’Italia) versano in un buono stato ecologico.

La direttiva Quadro Acque ha, inoltre, introdotto il “principio di non deterioramento”, recita infatti: “Gli Stati membri attuano le misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali”, e, “proteggono, migliorano e ripristinano tutti i corpi idrici superficiali” è quanto recita l’articolo 4 della Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE. Un principio quasi totalmente ignorato in Italia, oltretutto in una situazione già particolarmente compromessa.

Infatti la situazione dei nostri ambienti di acque interne (fiumi, laghi, zone umide…) non sembra poter migliorare perché i corsi d’acqua italiani sono soggetti a un attacco indiscriminato e “legalizzato” di devastanti e controproducenti interventi di “manutenzione idraulica”: sono in genere interventi di taglio indiscriminato della vegetazione ripariale e di dragaggio degli alvei, realizzati con la scusa della sicurezza idraulica, da Regioni, consorzi di bonifica, uffici o servizi tecnici territoriali (ex geni civili). Un’azione in aperto contrasto con direttive europee ma anche con la recente “Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030”[1] che afferma che “occorre adoperarsi di più per ristabilire gli ecosistemi di acqua dolce e le funzioni naturali dei fiumi. Uno dei modi per farlo consiste nell’eliminare o adeguare le barriere che impediscono il passaggio dei pesci migratori e nel migliorare il flusso libero dei sedimenti: s’intende così ristabilire lo scorrimento libero di almeno 25 000 km di fiumi entro il 2030 [2]”. Inoltre la situazione è aggravata dalla canalizzazione dei corsi d’acqua, dai dragaggi negli alvei, dall’occupazione delle aree naturali di esondazione, dalla distruzione delle fasce riparie naturali, dall’interruzione della continuità a causa di sbarramenti, traverse e dighe, fino agli eccessivi prelievi d’acqua rispetto alle disponibilità effettive, che hanno fortemente danneggiato la biodiversità degli ecosistemi acquatici, ridotto i servizi ecosistemici e aumentato il rischio idrogeologico. Nel nostro Paese si è irresponsabilmente costruito in aree pericolose e la percentuale di suolo consumato all’interno delle aree lungo i fiumi a pericolosità idraulica elevata è del 7,3%, mentre è del 10,5% nelle aree a pericolosità media, lasciando così oltre 7,7 milioni di italiani a rischio. (ISPRA, 2016). Un consumo di suolo che negli ultimi 50 anni, negli ambiti fluviali, attraverso le varie forme di urbanizzazione, ha raggiunto circa 2.000 km2, qualcosa come 310.000 campi da calcio.

BILANCIO IDRICO E CONCESSIONI

Già nel 2005 l’Autorità di bacino del Po[3] dava indicazione di quelli che erano le principali criticità. In un territorio come il bacino padano, ricchissimo da sempre di acqua, il deflusso medio superficiale, quello che transita realmente nella rete idrografica era di 46,5 miliardi di metri cubi, pari al 60% degli afflussi ed aveva una portata continua di 1473 metri cubi al secondo. Il resto o evapora e risale nell’atmosfera oppure s’infiltra e va a rimpinguare le falde profonde. Si tratta di 31,2 miliardi di metri cubi. Le risorse idriche sotterranee, che complessivamente non sono molto conosciute, sono stimate in 9 miliardi di metri cubi. Gli invasi idroelettrici e i grandi laghi alpini migliorano o dovrebbero migliorare la disponibilità perché l’acqua viene dapprima accumulata nei primi e poi nei secondi da cui può essere erogata in relazione ai bisogni di valle. I prelievi, se si considera solo l’uso irriguo, sono pari a 21,9 miliardi di metri cubi che, distribuiti nell’arco dell’anno, costituiscono una portata fluente di 694 metri cubi/secondo. Se vengono rapportati al periodo irriguo, la portata è di 1850 metri cubi al secondo. Una prima giustificazione delle crisi idriche sostanzialmente è data dalla considerazione che la portata media annua è di 1470 metri cubi, mentre i diritti di prelievo delle concessioni sono pari a 1850 metri cubi al secondo. Vi è un deficit “strutturale”, a livello di valore medio, di 380 metri cubi al secondo.

Anche più recentemente l’Autorità di bacino del fiume Po[4] ha evidenziato come dall’esame dei disciplinari di concessione per l’utilizzo della risorsa idrica, emerge, come mostrato dai valori riportati nel diagramma di Figura 1, come il totale dei volumi concessi superi di gran lunga la disponibilità idrica media dei mesi estivi, il che significa che tutti i diritti non potrebbero essere esercitati in contemporanea, con vantaggio degli utenti di monte che esercitano il diritto per primi. La differenza tra i valori invernali ed i valori estivi illustra anche in modo chiaro come l’utilizzo preponderante e intensivo sia costituito dall’irriguo, le cui problematiche sono affrontate pertanto in via prioritaria dal Piano.

Fondamentale per garantire un uso plurimo delle acque è il rispetto del bilancio idrico che dovrebbe essere definito a scala di bacino e per il quale, come abbiamo visto, risulta già un deficit strutturale in alcuni periodi che, anche a seguito delle conseguenze dei cambiamenti climatici, è assolutamente necessario colmare. Il bilancio idrico, definito alla scala del bacino idrografico, è espresso dall’equazione di continuità dei volumi entranti, uscenti ed invasati nel bacino superficiale e idrogeologico, al netto delle risorse necessarie per la conservazione degli ecosistemi acquatici e dei fabbisogni per i diversi usi.

L’Autorità di bacino distrettuale del Po (2015) evidenzia come “a livello distrettuale, l’insieme delle misure dovrebbe permettere di mitigare gli impatti della pressione di tipo prelievo nei Consorzi irrigui del Po nella stagione irrigua, per consentire il raggiungimento dell’obiettivo del Piano della riduzione di almeno il 5% del prelievo irriguo entro il 2021, con effetti di mitigazione sugli impatti delle pressioni nei mesi più critici.

Tale obiettivo può essere raggiungibile attraverso l’applicazione di misure finalizzate ad incrementare l’efficienza irrigua riconducibili alle seguenti tre tipologie:

misure non strutturali e gestionali dirette alle aziende, che comprendano la “promozione di supporti di gestione all’irrigazione, basati su parametri climatici e vegetali, finalizzati alla stima degli effettivi fabbisogni delle colture e definizione dei criteri di irrigazione” seguendo le indicazioni UE” (Misura A.2-A.6-E.1-07-b112 PdGPo 2010) già prevista dal POR Regione Piemonte, da estendere a livello distrettuale;

misure non strutturali e gestionali alla scala consortile;

misure per il miglioramento dell’infrastruttura irrigua, già peraltro ricomprese da misure del PdGPo 2010-1015, ed in taluni casi in corso di attuazione.

L’obiettivo di riduzione del 5% del prelievo e da intendersi come complessivo nel distretto del Po, e deve essere declinato territorialmente sulla base delle caratteristiche di uso (disponibilità di risorsa, tipo di reti, efficienza, tipo di colture, prospettive di sviluppo, eccetera) locali.”

LA RINATURAZIONE E DELUSSO ECOLOGICO

Poco di quanto è effettivamente necessario è stato promosso: l’adattamento ai cambiamenti climatici, che dovrebbe essere promosso prioritariamente con la rinaturazione sugli ecosistemi acquatici, è stato ignorato: si continuano a promuovere grandi interventi infrastrutturali, gli inutili impianti di mini-idroelettrico nei corsi d’acqua naturale (ne sono stati rinnovati gli incentivi), o gli invasi a uso plurimo che le associazioni agricole ed ANBI vorrebbero su tutto il territorio.

Ma della indispensabile azione di rinaturazione, necessaria per favorire gli obiettivi della Direttiva Quadro acque (2000/60/CE) e richiesta esplicitamente anche dalla “Strategia della Ue per la biodiversità” per recuperare e tutelare i molteplici servizi ecosistemici e in particolare la sicurezza idraulica, si hanno poche notizie.

Eppure sono anni che la rinaturazione fluviale dovrebbe essere promossa anche grazie alla legge133/2014[5], che prevede la realizzazione di “interventi integrati per ridurre il rischio idrogeologico e per il miglioramento dello stato ecologico dei corsi d’acqua e la tutela degli ecosistemi e della biodiversità, promuovendo in via prioritari agli interventi tutela e recupero degli ecosistemi e della biodiversità”, utilizzando fino al 20% dei fondi per il dissesto idrogeologico.

La Direttiva quadro acque è in gran parte disattesa in tutta Europa, ma in particolare nel nostro Paese: la visione di bacino idrografico è stata sostanzialmente abbandonata, lasciando alle regioni, grazie anche ai poteri commissariali che da più di 10 anni esercitano quasi ininterrottamente, di fare ciò che vogliono più o meno in completa autonomia.

L’orientamento dell’Europa è chiaro: la Strategia Europea per la biodiversità, infatti, sottolinea come debbano essere recuperati i ritardi nell’applicazione della Direttiva Acque e che debba essere ulteriormente rafforzata come, peraltro, richiesto a gran voce dai cittadini europei nel recente Fitnees check [6].

Il concetto di deflusso ecologico riprende il concetto di flood pulsing: ogni fiume, infatti, è caratterizzato da un particolare regime idrologico che determina il cosiddetto “flood pulsing”, il concetto, cioè, che le funzioni fisiche e biotiche dell’ecosistema fluviale (rappresentato almeno dal letto e dall’intera fascia di esondazione del fiume) siano dipendenti dalle variazioni dinamiche della portata d’acqua del fiume stesso (Middleton B., 1999). Modifiche del regime naturale, infatti, determinano inevitabilmente variazioni all’intero ecosistema, spesso drastiche e irreversibili. L’alterazione del regime fluviale contribuisce al degrado degli ambienti ripariali che sono indispensabili per garantire una serie di servizi ecosistemici fondamentali a garantire la funzionalità degli ecosistemi fluviali e acuisce i problemi legati alla disponibilità dell’acqua per i suoi vari utilizzi.

Ad esempio le zone umide perialveali, formate in genere dal divagare naturale dei fiumi sono estremamente importanti per la regolazione dei fenomeni idrogeologici per l’attenuazione delle piene dei fiumi. Le paludi lungo i corsi d’acqua, ad esempio, hanno un effetto “spugna”: raccolgono le acque durante le esondazioni, diluendo inquinanti, rallentando il deflusso delle acque e riducendo il rischio di alluvioni, restituendo, poi, al fiume, durante i periodi di magra, parte delle acque accumulate.

Sono importanti serbatoi per le falde acquifere e naturali “trappole per nutrienti”. La ricca e diversificata vegetazione delle zone umide conferisce a questi ambienti la capacità di assimilare nutrienti (composti di P, N) e la possibilità di creare condizioni favorevoli per la decomposizione microbica della sostanza organica: sono dei “depuratori naturali”

Le zone umide sono poi tra gli ambienti con la più alta biodiversità e lungo i fiumi vi sono diversi habitat acquatici di importanza comunitaria (direttiva 43/92/CEE) come i “Laghi eutrofici naturali con vegetazione del Magnopotamion Hydrocharition  (cod.3150) o gli “Stagni temporanei mediterranei“  (cod.3170*) o i “Fiumi mediterranei a flusso permanente con il Paspalo – Agrostidion e con filari ripari di Salix – Populus alba” (cod.3280) di cui spesso i lavori di manutenzione non tengono conto.

Il progetto di rinaturazione del Po, che Rientra nella Missione 2 Componente 4 e nella Linea di intervento 3 “Salvaguardare la qualità dell’aria e la biodiversità del territorio attraverso la tutela delle aree verdi, del suolo e delle aree marine” (Investimento 3.3) del PNRR, prevede, tra l’altro, la ricostruzione e riapertura di lanche e rami abbandonati proprio per ridare spazio al fiume e contribuire a renderlo più “resiliente” ai cambiamenti climatici. Il progetto è importante per la riattivazione dei processi geomorfologici naturali in parte bloccati dall’estrema canalizzazione del Po e per ripristinare il deflusso ecologico per recuperare le naturali relazioni tra l’alveo del fiume e la sua fascia riparia.

CONCLUSIONI

Il WWF si augura che l’iter di applicazione del deflusso ecologico non venga bloccato o derogato. Non c’è più tempo, è indispensabile promuovere, come richiesto dalla Strategia Europea per la biodiversità, una diffusa rinaturazione dei nostri corsi d’acqua

Devono essere avviati urgentemente interventi integrati per ridurre il rischio idrogeologico e per il miglioramento dello stato ecologico dei corsi d’acqua e la tutela degli ecosistemi e della biodiversità, promuovendo in via prioritari agli interventi a tutela e recupero degli ecosistemi e della biodiversità” (L. 133/2014). Sono interventi fondamentali per gli adattamenti ai cambiamenti climatici che le Regioni avrebbero dovuto realizzare già da anni; purtroppo ad oggi si contano sul palmo di una mano gli interventi messi in cantiere.

È indispensabile riattivare le funzioni ecologiche del nostro territorio, dei fiumi, affinché siano più resilienti e in grado di “aiutarci” a far fronte ai cambiamenti climatici; per questo è necessario bloccare l’ulteriore artificializzazione del reticolo idrografico, la costruzione di migliaia di invasi come proposto dalle associazioni agricole e da ANBI che rischiano solo di complicare e peggiorare la gestione dell’acqua.

Bisogna cambiare rotta e rivedere anche le regole di concessione per garantire maggior acqua al sistema (iniziando da quel 5% in più auspicato dall’Autorità di distretto del Po), favorendo anche una miglior l’infiltrazione idrica nel terreno e garantire un’adeguata ricarica delle falde.

In questi ultimi decenni, come si è detto, la situazione è ulteriormente peggiorata e sono almeno 20 anni che si chiede di rivedere il sistema delle concessioni per garantire più acqua al sistema. L’Agricoltura con circa il 60 % di uso dell’acqua è l’attività sulla quale è indispensabile agire prioritariamente per rivedere le modalità e i quantitativi di concessione.

In questi ultimi anni sono certamente migliorati i sistemi di distribuzione dell’acqua e le tecniche di irrigazione, alcuni consorzi di irrigazione riescono a risparmiare acqua, grazie a nuove e più efficienti tecnologie, per cui si potrebbe iniziare a rivedere le portate concesse in relazione a questi risparmi: se un consorzio risparmia il 5% potrebbe essere “premiato”, ad esempio con forme di defiscalizzazione o di riduzione del canone, ma deve poter ridurre la sua concessione del 5% favorendo quindi un miglioramento nel bilancio idrico complessivo. E così anche per altri tipi di concessioni. A riguardo qualche segnale incoraggiante, ma non sufficiente a risolvere la problematica della disponibilità di acqua per la piena conservazione degli ecosistemi, arriva del PSRN (Piano Sviluppo Rurale Nazionale) che ha finanziato numerosi progetti per la gestione della Risorse idriche, distribuiti in prevalenza nel nord Italia, per un valore di 343,9 milioni di euro. Il risparmio idrico stimato è il 6% che dovrebbe essere appaiato però alla parallela riduzione della concessione per ottenere un reale effetto positivo sul bilancio idrico.

Andrea Agapito Ludovici

Responsabile Acque WWF Italia

a.agapito@wwf.it https://www.wwf.it/cosa-facciamo/fiumi-zone-umide/

338 5794725

[1] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/DOC/?uri=CELEX:52020DC0380&from=EN

[2] L’obiettivo di 25 000 km si basa sulla valutazione della Commissione su quanto è raggiungibile nell’UE entro il 2030.

[3] fonte audizione del dott. Puma dell’Autorità di bacino del Po presso la XIV, 13°Commissione permanente (Territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato della Repubblica, – “Indagine conoscitiva sull’emergenza idrica dell’area del lago di Garda e nel bacino del Po.” 3° resoconto stenografico. Seduta n.44 di martedì 20 settembre 2005

[4] Autorità di bacino del fiume Po, 2015 – Progetto di Piano del Bilancio Idrico per il Distretto del fiume Po

Piano di Gestione del Distretto Idrografico del Fiume Po – Art. 14 dell’Allegato “Misure urgenti e indirizzi attuativi generali del Piano di Gestione” alla Deliberazione del Comitato Istituzionale n. 1/2010 di adozione del Piano di Gestione. Proposta per la valutazione del Comitato Tecnico e del Comitato Istituzionale dell’Autorita di Bacino del fiume

[5] ‘articolo 7, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164

[6] Fitness Check of the EU Water Legislation, SWD(2019) 439; Evaluation of the Urban Waste Water Treatment Directive, SWD(2019) 700.