Marzo 2020. Questi giorni saranno ricordati per la sofferenza e la tristezza danno a tutti noi e forse ciò varrà ancor più agli amici di Lodi che hanno visto il loro territorio colpito e segnato per giorni alle cronache come zona rossa. Al momento possiamo solo sperare il meglio per ciascuno di noi, ma forse è bene non sottrarci a quale riflessione.
Se non si è ciechi o cocciuti, si può osservare che la pandemia è anche figlia di un approccio padronale alla natura: percepita come una cosa tra le altre ci si abitua a pensare che se ne possa disporre nel modo più vantaggioso al tornaconto. È così che si costruisce nel letto dei fiumi, si regimano i corsi d’acqua per qualche fazzoletto di mais in più, si scaricano liquami scarto del biogas o, più banalmente, si lascia la spazzatura sulle strade accorgendosi (ma solo per poco) che la natura non fa sconti e ci ripaga con piene distruttive, frane, perdita di terreno fertile, luoghi infetti e via dicendo.
Proiettati nell’onnipotenza dell’oggi tecnologico, a livello sociale la memoria storica di ciò che la natura può fare svanisce e l’esperienza del passato non dice più nulla o, semplicemente, si dimentica.
Anche nel mondo della pesca le cose sono andate più o meno allo stesso modo: dopo le immissioni in natura di specie a scopo alimentare e di lotta alla malaria, per qualche decennio si è fatto ricorso a stock di pesce pronta pesca e di provenienza europea provocando un conseguente inquinamento biologico, la perdita di specie e la riduzione degli habitat per la fauna autoctona. Come ci ripaga oggi la natura è noto a chiunque voglia pescare in ambiente naturale.
Alla luce di tutto ciò assume particolare significato l’attività dell’incubatoio di valle gestito dalla sezione di Lodi di SCI. Dopo il consolidamento della attività sulla trota marmorata è la volta del luccio: con il 2020 si è passati dalla fase sperimentale alla produzione di esemplari autoctoni: Prelevati da corsi d’acqua minori in cui è presente una residua popolazione che presenta caratteristiche morfologiche degli esemplari autoctoni, sono stati stabulati nel mese di dicembre in un invaso dedicato alimentato dall’acqua dell’Adda e con caratteristiche idonee per una presenza di medio periodo. Questa scelta ha permesso agli esemplari di adattarsi al nuovo ambiente e sviluppare in modo naturale il ciclo riproduttivo.
Completata la maturazione delle gonadi, sono stati stabulati in gabbie temporanee ridosso della spremitura così da ridurre al minimo le operazioni di cattura e rispettare i tempi di maturazione di ciascun esemplare.
Le uova fecondate sono state poste nelle bottiglie di Zug disponibili all’incubatoio, la schiusa avverrà tra 7/10 giorni ed è prevista l’immissione in ambiente a sacco vitellino riassorbito. A conclusione delle operazioni si stima di poter raggiungere la quota di 100.000 avannotti.
Compatibilmente con la situazione, nella speranza di poter riprendere al più presto il raccordo con la struttura regionale, il progetto luccio prevede lo sviluppo di una ricerca sulla genetica egli esemplari immessi così da integrare il censimento con una mappatura delle condizioni reali della specie.
Darsi da fare per recuperare spazio all’evoluzione così come la natura l’ha generata e la modifica è come costruire laddove i fiumi permettono, piantare alberi dove ci sarebbero se non li avessimo tagliati, ricordare che le pandemie sono eventi sporadici ma non impossibili e, in ultima analisi, sentirci (una) parte di questo pianeta non il suo padrone.